|
Intervista a Maria
Luisa Simone.
A cura della giornalista Antonella Bruni.
Maria Luisa Simone,
nata a Pavia, ha tenuto mostre personali in tutto il mondo, dalla Germania
al Canada, dalla Polonia all'Olanda. Le opere degli ultimi anni che riassumono
le sue numerose e varie esperienze figurative sono ora presentate al Comune
di Fortunago.
Accogliente e
talvolta misteriosa ci appare la sua poetica che coinvolge, come dice
il titolo dell'esposizione, paesaggi, uomini e carlini , protagonisti
che si alternano nelle composizioni come in pagine di contemplazione e
di rivisitazione formale.
Abbiamo rivolto
alcune domande alla pittrice . Dopo tanti itinerari perché
una mostra a Fortunago?
Quando si esce dall'autostrada
a Bereguardo, si percorre qualche chilometro e appare la maestosa cupola
del Bramante, la cattedrale di Pavia; mi sembra assistere a un miracolo.
Un corpo austero proiettato verso il cielo con una lineare soavità.
Questa è la mia città, Pavia. Sono nata qui; mio padre dirigeva
la cancelleria del Tribunale. I ricordi si affollano: San Pietro in Ciel
d'Oro, San Michele, la strada medioevale che percorrevo per recarmi al
Liceo Musicale. Il Palazzo Vistarini, in cui vi erano diverse abitazioni,
era la mia residenza. Camere con molto verde e oro, un grande parco con
gazebo da cui si vedeva il Ticino. E la campagna intorno, le viole, le
risaie rilucenti e su fino alle colline dell'Oltrepò; ho sentito
da sempre un legame con questo territorio ampio e variato da tante apparizioni,
quasi un intrecciarsi di realtà e leggenda.
Poi la vita l'ha
portata lontano.
Sì, ma pur
abitando a Milano, penso sempre a qualche particolare del Pavese. I fine
settimana sono regolari e le pause di soggiorno condizionate dalle stagioni.
Amo in particolare l'autunno, le sue accensioni di rossi e di arancio,
giallo e terra scura. Dopo un lungo viaggio ritorno a Montesegale, a casa.
Incomincio a fare schizzi che mi serviranno nei mesi prossimi e comincio
a osservare i miei carlini. Questi cagnolini che mi deliziano sono una
sorta di avvio emotivo per accostare il paesaggio. Con più sottili
riferimenti ottici e, diciamo pure, sentimentali. Le colline che si stagliano
sonnacchiose nella valle dell'Ardivestra, i monti più severi di
Costa Cavalieri fino a Cosa Pelata. Ed è in questo viaggio dell'anima
che si incontra Fortunago, nobile nella sua semplicità, un luogo
dove esiste un racconto oltre le mura, tramandato di stagione in stagione.
Il canto degli uccelli è la colonna sonora di questo spettacolo;
gli alberi e i fiori la cornice.
Ha mai sentito
la necessità di mostrare agli abitanti di queste valli il risultato
delle sue meditazioni figurali?
Diverse sono state
le mie personali nel Castello di Montesegale, invitata dall'amico Ruggiero
Jannuzzelli, alternate a quelle a Milano, a Parigi, a Colonia e nei tanti
paesi dove ho esposto. Le mie personali sono più di trecento. Durante
l'inverno, quando sono nel mio studio di piazza Mirabello a Milano, mi
sembra di essere a Parigi, nella piazzetta Fürstenberg dove aveva
studio Eugène Delacroix. Guardo la tela e vedo le acacie fiorite,
bianche, grevi di petali, dell'Oltrepò. Questa continua ricerca
di terreni intonsi mi riporta la scoperta che feci del Kenia, negli anni
Settanta.Quando trovo un ciuffo di erbe scure, mi assale il ricordo della
vegetazione della Groenlandia, l'ultima Thule. Ora in questa placida piazza,
con l'edificio rosa che mi ospita, assisto a un altro racconto dell'Oltrepò.
Una fontana allegra dona le sue acque ai passanti e inizia un racconto:
c'era una volta una bambina che giocava al “mondo” davanti a San Michele
di Pavia con i suoi angeli e draghi, le piaceva dipingere, e oggi è
qui con le sue tele che vivono in questo bel paese, nell'estate del 2006.
Per i cinesi questo è l'anni del Cane, quindi è il mio anno.
E ci sono altri
ricordi?
Un altro legame con
l'Oltrepò è stata la mia lunga amicizia con Luciano Bernini,
allevatore famoso di collies , che aveva prodotto dei “pastori
scozzesi” diventati campioni in Inghilterra.
Luciano aveva una casa a Rivanazzano e allevava a Rocca de Giorgi. Quante
ricorrenze festive in quella casetta con i carlini, collies ,
pincher . Il pranzo di Natale durava molto a lungo, fino allo
spegnersi del sole dietro la montagna innevata. Il gatto aspettava paziente
il suo piatto festivo dietro al vetro della cucina, poi incominciava a
far luce il bianco della neve. Non tanto lontano ci aspettava Franca Simondetti,
un'amica allevatrice che aveva il suo rifugio vicino a noi. Mi chiedeva
sempre perché non usavo come studio la sua casa, era simpatica,
ornata di cactus, il suo cane, Budino, l'aspettò più giorni
al casello di Casei Gerola, invano; Franca aveva lasciato la vita in un
incidente stradale.
Quante risorse di storia, di bellezza, di tranquillità, di pensiero
in questo territorio fecondo; oltre il vino famoso nel mondo, da tempo
è divenuto una meta e un rifugio per gli amanti della natura e
dell'arte.
Antonella
Bruni
|
|
|
Per
Maria Luisa
Non
mi è capitato spesso di scrivere di Maria Luisa Simone che è
mia moglie; sono ancora devoto a quella specie di pudore dei vecchi tempi
per cui bisogna rinunciare a far prevalere i sentimenti sulla obbiettività.
Ne accenno ora poiché
Maria Luisa espone a Fortunago, uno dei paesi nobili dell'Oltrepò
che abbiamo scoperto insieme e che accoglie le sue opere dipinte nei più
vari luoghi come in una rassegna di memoria e di partecipazione che non
si è mai interrotta.
Maria Luisa racconta
qui i motivi del suo attaccamento al territorio pavese da un'infanzia
di guerra che è diventata mitica. Ma veniamo a tempi recenti; grazie
all'ospitalità cordiale di amici e a quella casetta che ci fu prestata
da Ruggiero Jannuzzelli, l'Oltrepò pavese è diventato la
nostra seconda residenza, sempre più frequentata via via che Milano
si è trasformata in una specie di grosso sobborgo americano senza
prospettive.
Superfluo fare l'elogio
dell'Oltrepò, ma non temo di sbagliare se dico che Simone ha saputo
fare riudire il canto degli uccelli nelle sue siepi vibranti di colori
accesi e anche intonati secondo i principi armonici dell'arte; ha reso
con studiata commozione questi colli che ci fanno sentire il mare non
tanto lontano. È una pittura toccata con profonda sensibilità,
talora fascinosa, che ha secondo me il merito di una sedimentazione culturale
moderna che non impaccia l'istinto naturale dell'immediata commozione
animata dalle cose vere.
Un esempio probante
sono i suoi piccoli cani, i carlini. Maria Luisa alleva questi deliziosi
molossoidi da più di trentacinque anni; sono venuti a far parte
importante della sua vita e li dipinge con lo stesso scrupolo con cui
potrebbe farsi un autoritratto. E anche qui vi è una immersione
nel contesto della natura. Da sempre l'arte è la proiezione di
se stessi, oltre il muro d'ombra in cui appaiono le cose in natura.
La vita nella campagna
dell'Oltrepò invita a queste intuizioni, a questi ripensamenti
che Maria Luisa ha fatto suoi; motivi ricorrenti e rinnovati ogni volta
con una invenzione di spazi e colori gioiosi, gioia che dalle sue tele
diviene contagiosa.
Io, che sono il suo
compagno, la seguo nella sua felicità di espressione e con un po'
d'invidia per la gioia che le viene dalla sua pittura e con ammirazione
per la capacità di non farsi distrarre dalla noia e dalla fatuità
del contemporaneo.
Raffaele
De Grada
|
|